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Lo psicologo della terza età: come affrontare i cambiamenti e vivere appieno gli anni d'oro

Lo psicologo della terza età: come affrontare i cambiamenti e vivere appieno gli anni d'oro

Lo psicologo della terza età: come affrontare i cambiamenti e vivere appieno gli anni d'oro

La terza età rappresenta una fase della vita caratterizzata da numerosi cambiamenti fisici, psicologici e sociali. L'invecchiamento può comportare la perdita di autonomia, il deterioramento della salute fisica e mentale, la riduzione delle opportunità sociali e il tema della morte. Tuttavia, grazie allo psicologo della terza età, è possibile affrontare questi cambiamenti e trovare possibile il benessere emotivo.

Cos'è la psicologia della terza età?

La psicologia della terza età è una branca della psicologia che si concentra sullo studio dei processi psicologici che si verificano durante la terza fase della vita, ovvero quella dopo i 65 anni. Questa disciplina si occupa di diversi aspetti del benessere psicologico degli anziani, come il loro adattamento a nuove condizioni di vita, la gestione delle emozioni e la prevenzione dei disturbi psicologici. Inoltre, lo psicologo della terza età promuove l'importanza di una vita attiva e sociale per prevenire la depressione e migliorare la qualità della vita degli anziani. Gli psicologi che si occupano di questa area utilizzano approcci terapeutici specifici e personalizzati per rispondere alle esigenze dei loro pazienti anziani.

Quali cambiamenti si affrontano nella terza età?

La terza età è un periodo di grandi cambiamenti fisici e psicologici. Molti degli aspetti della vita che possono sembrare scontati in età più giovane, come la salute, le relazioni e le attività quotidiane, diventano meno prevedibili e richiedono una maggiore attenzione. Ad esempio, la salute può essere influenzata dall'insorgenza di malattie croniche come il diabete, l'artrite e l'ipertensione, oltre che da eventuali problemi di mobilità. Ciò può portare a una riduzione dell'indipendenza e della qualità della vita.

Anche le relazioni sociali possono subire significativi cambiamenti durante la terza età. Gli amici e i familiari possono morire o muoversi lontano, e le opportunità di incontrare nuove persone possono diventare limitate. Inoltre, la pensione e l'invecchiamento possono portare ad un cambiamento di ruolo nella società, con la perdita di status e identità professionale.

Infine, le attività quotidiane possono diventare più difficili e richiedere più tempo ed energia. La cura di sé stessi può diventare un problema, in particolare per coloro che vivono da soli o che hanno difficoltà a mobilitarsi. Tutti questi cambiamenti possono creare un grande stress e richiedono una maggiore resilienza (vista come capacità di trasformare una situazione di difficoltà in una nuova competenza mantenendo una flessibile apertura della mente) e capacità di adattamento da parte degli anziani; qualora queste difficoltà diventino troppo difficili da affrontare, può essere utile rivolgersi ad uno psicologo della terza età o un professionista competente del delicato argomento.

Le problematiche neuropsicologiche

La terza età è spesso associata ad un aumento della frequenza e della gravità delle problematiche neuropsicologiche, per questo è necessario ed importante rivolgersi a uno psicologo della terza età o a un neuropsicologo qualora sopraggiungessero difficoltà legate a questi aspetti. Ad esempio, la demenza e l'Alzheimer sono malattie che colpiscono molte persone anziane, e queste malattie possono causare una serie di problemi cognitivi e comportamentali, come la perdita di memoria, la confusione mentale e talvolta anche comportamenti aggressivi.

Non tutte le problematiche neuropsicologiche sono così gravi: la perdita di memoria e le difficoltà di attenzione possono essere un problema comune per molte persone anziane, anche in assenza di una diagnosi di demenza. Inoltre, uomini e donne anziani possono anche sperimentare una maggiore ansia e depressione, che possono influenzare la loro qualità di vita.

È importante capire che le problematiche neuropsicologiche possono essere trattate in modo efficace, e gli psicologi della terza età o comunque un professionista competente sensibile alle problematiche dell’età più anziana hanno un ruolo importante nella diagnosi e nel trattamento di queste condizioni. Ad esempio, si ritiene che la terapia cognitivo-comportamentale può aiutare le persone anziane a gestire i loro problemi di memoria e a migliorare le loro capacità cognitive.

Il tema della morte nella terza età

Il tema della morte è un aspetto importante della psicologia della terza età. Uomini e donne più sono anziani più si trovano ad affrontare la morte dei loro amici e familiari, e possono avere una maggiore consapevolezza della propria mortalità. Questo può appunto portare ad una maggiore ansia e preoccupazione per coloro che hanno affrontato la perdita di amici, familiari o partner nella loro vita. La morte può anche rappresentare la fine di una vita attiva e la perdita di uno scopo nella vita. Questa può in alcuni casi attivare nei grandi anziani un’accettazione serena della propria caducità.

Per molti altri invece la morte rappresenta l'ignoto, e questo può creare molta ansia e stress: possono sorgere domande su cosa succederà dopo la morte, sulla propria eredità e sulla propria reputazione. I sentimenti di tristezza, rabbia e rifiuto possono emergere e la perdita di interesse per la vita quotidiana può diventare una realtà.

È importante che gli anziani affrontino questi sentimenti e le preoccupazioni sulla morte in modo adeguato. Uno psicologo dell’invecchiamento può essere molto utile in questo processo, aiutando gli anziani a comprendere e accettare la morte come parte naturale del ciclo della vita. Un professionista della psicologia della terza età o un professionista competente del delicato argomento può offrire un supporto emotivo, insegnare tecniche di coping efficaci e aiutare a trovare nuovi scopi nella vita, anche in età avanzata.

Come può aiutare uno psicologo nella terza età?

Uno psicologo può offrire un ampio supporto nella terza età, aiutando gli anziani ad affrontare le sfide che si presentano. In primo luogo, uno psicologo della terza età può aiutare gli anziani a comprendere e accettare i cambiamenti che avvengono nel loro corpo e nella loro vita, nonché a trovare nuovi modi per mantenere una buona salute mentale ed emotiva. Inoltre, uno psicologo dell’invecchiamento può aiutare gli anziani a gestire le problematiche neuropsicologiche, come la perdita di memoria o il declino cognitivo, fornendo loro tecniche e strategie per mantenere una mente attiva e allenata. Lo psicologo della terza età può anche aiutare gli anziani a fronteggiare l'ansia e lo stress derivanti dalla paura della morte, dalla solitudine e dall'isolamento sociale: possono insegnare tecniche di rilassamento, di meditazione e di mindfulness per aiutare gli anziani a trovare un senso di pace e di benessere mentale.

Inoltre, uno psicologo della terza età può aiutare gli individui nella terza età a sviluppare una maggiore consapevolezza di sé e dei propri bisogni. Spesso, durante la vita adulta, si è molto impegnati con il lavoro e la famiglia, e si ha poco tempo per riflettere su se stessi. Nella terza età, si può finalmente avere il tempo per esplorare le proprie inclinazioni e i propri interessi. Uno psicologo della terza età può offrire un supporto emotivo in questo processo, aiutando gli individui a comprendere meglio i propri pensieri, emozioni e comportamenti. Se volete leggere un altro articolo sul tema e l‘approccio di una terapeuta leggete l’articolo Ho 70 anni che tutto abbia inizio!.

In conclusione, la terza età rappresenta una fase della vita caratterizzata da numerosi cambiamenti e sfide. Tuttavia, grazie alla psicologia dell’invecchiamento, è possibile affrontare questi cambiamenti e trovare il benessere emotivo.

Se stai considerando di parlare con uno psicologo, ci sono alcune cose che potresti voler tenere a mente. In primo luogo, è importante trovare uno psicologo che abbia esperienza nella lavorazione con gli individui anziani. Gli anziani possono affrontare sfide uniche e specifiche che richiedono una comprensione accurata da uno psicologo della terza età. Inoltre, potresti voler trovare uno psicologo con cui ti senti a tuo agio e con cui puoi stabilire una buona relazione terapeutica.

In secondo luogo, è importante ricordare che la terapia può richiedere tempo e impegno. Alcune persone potrebbero aver bisogno di diverse sessioni prima di vedere un cambiamento significativo nella loro salute mentale. Tuttavia, la terapia può offrire un supporto prezioso per affrontare i cambiamenti e le sfide della terza età e può migliorare significativamente la qualità della vita.

Infine, è importante comprendere e ribadire che la terza età non è necessariamente una fase di vita caratterizzata dalla disabilità e dall'incapacità, anzi: gli individui anziani possono avere una vita piena e soddisfacente e godere di un benessere mentale ottimale. Uno psicologo della terza età può aiutare gli individui anziani a trovare nuovi interessi, adattarsi ai cambiamenti della vita e sviluppare una maggiore consapevolezza di sé e dei propri bisogni.

Speriamo con questo articolo di avere chiarito meglio cos’è lo psicologo della terza età. Se vuoi un consulto o hai bisogno di supporto di uno psicologo a Bergamo per la terza età, non esitare a contattarci su Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

 

Gaia Villa & Pasqua Teora

Questa storia deve finire

Questa storia deve finire

La guerra è stata da sempre l'attività specifica del maschio e il suo modello di comportamento virile”.

 Carla Lonzi, Manifesto di Rivolta Femminile, 1970

QUESTA STORIA DEVE FINIRE[1] 

La guerra non è una nostra invenzione e non è nostra invenzione quella forma disperata di guerra che è il terrorismo.

Posizionarci -di qua o di là- non ci dà pace, ci disorienta e ci divide, ma non ci è consentito altro movimento se non cercare rifugio in un’impossibile estraneità.

Ci riconosciamo con dolore nelle “nemiche”

La guerra ci annichilisce perché la sua illogica ci è del tutto estranea, il suo linguaggio ci esilia, la nostra casa ne è devastata.

 A noi, alle nostre sorelle, alle nostre figlie e ai nostri figli innocenti tocca il prezzo più alto.

Fanno di noi le prime prede di ogni guerra. Ci tolgono la parola. Vogliono ridurci a cose mute. La guerra è il momento in cui esistiamo di meno perché la nostra soggettività ne è annientata. 

 

La donna ha avuto l’esperienza di vedere ogni giorno distrutto quello che faceva” e nella guerra questa esperienza si moltiplica e si accelera.

 

Ogni guerra si conclude con nuovi problemi che chiederanno una nuova guerra per essere fintamente risolti.

 

La guerra non restaura diritti, ridefinisce poteri”[2]

 

La pace è male intesa come l’intervallo di durata variabile tra una guerra e l’altra, in cui ci si esercita e ci si prepara per una nuova verifica violenta dei rapporti di forza: “Tutta la vita economica contemporanea è orientata verso una guerra futura[3]

 

Ma la guerra non fa crescere niente, fa decrescere tutto per il profitto di pochi. Siamo fatti per continuare a nascere, non per morire nelle guerre. La pace è l’unica vera forza perché ci permette di nascere continuamente.

 La guerra è la manifestazione più lampante della fallacia del dominio come regolatore della convivenza umana e

L’uomo ha sempre parlato a nome del genere umano, ma metà della popolazione terrestre lo accusa ora di aver sublimato una mutilazione”.

 

Noi siamo quella metà della popolazione che accusa.

Non ci basta più implorare la pace. La pace non è essere inermi, è forza attiva che regola le relazioni e dirime i conflitti.

Esigiamo che i figli ribelli riconoscano l’autorità della madre e si sottraggano all’obbligo dei gesti di dominio e di sopraffazione. Pretendiamo che disubbidiscano al patriarcato belligerante, cercando un altro modo per stare al mondo da uomini.

 

Non salterà il mondo se l’uomo non avrà più l’equilibrio psicologico basato sulla nostra sottomissione”.

Anzi, il mondo si salverà solo in questo modo.

Alle nostre spalle sta l’apoteosi della millenaria supremazia maschile”.

 

Questa Storia è finita. Questa Storia deve finire. Tutte le guerre devono finire, e mai più cominciare.

 

 Il Gruppo "Inviolabilità"

 

[1]   Il testo è a cura del gruppo “inviolabilità”. Tutti i corsivi nel testo, non segnalati, riportano le parole originarie del Manifesto di Rivolta Femminile scritto da Carla Lonzi

[2]   Hannah Arendt

[3]   Simone Weill

Sogno in psicoterapia: a cosa serve?

Sogno in psicoterapia: a cosa serve?

Sogno in psicoterapia: a cosa serve?

I sogni sono uno degli aspetti più affascinanti e misteriosi dell'esperienza umana. Possono essere definiti come una serie di pensieri, immagini e sensazioni che si verificano nella mente durante il sonno. I sogni sono una parte naturale del nostro ciclo di sonno e possono verificarsi in qualsiasi fase del sonno, ma sono più vividi durante il sonno REM (Rapid Eye Movement).

In questo articolo approfondiremo meglio cosa sono a cosa serve il sogno in psicoterapia e come può essere utilizzato nella pratica clinica.

Come funzionano i sogni e perché sogniamo?

Prima di capire a cosa servono i sogni in psicoterapia, è importante capire da dove vengono. Quindi, perché sogniamo?

Durante il sonno REM, il cervello è molto attivo ed è qui che si verifica la maggior parte dei sogni. Esistono molte teorie su cosa sono i sogni e sul perché li facciamo. Una teoria suggerisce che sono un modo per il nostro cervello di elaborare e consolidare i ricordi della giornata. Ci sono altre teorie che suggeriscono che i sogni sono semplicemente un sottoprodotto dell'attività neurale casuale del cervello. Altre teorie invece che sembrano essere quelle che maggiormente confermano ciò che accade quando sogniamo e propongono che i sogni siano un modo per elaborare questioni emotive o conflitti irrisolti della nostra vita quotidiana; questo ci fornisce un primo indizio per capire in psicoterapia a cosa servono i sogni, ovvero per analizzare eventuali conflitti del nostro inconscio che emergono simbolicamente quando dormiamo. Nonostante tutte le ricerche e le teorie, lo scopo esatto dei sogni rimane pressoché sconosciuto. Tuttavia, è ampiamente riconosciuto che i sogni possono fornire preziose informazioni sulla nostra mente subconscia e aiutarci a capire meglio noi stessi. I sogni inoltre possono assumere molte forme diverse, da quelle piacevoli ed eccitanti a quelle spaventose e inquietanti e il contenuto dei sogni è spesso influenzato dalle nostre esperienze, emozioni e pensieri. A volte i sogni possono sembrare completamente casuali e senza senso, mentre altre volte possono essere altamente simbolici e significativi. Nel corso della storia, molte culture hanno attribuito grande importanza ai sogni. Nell'antica Grecia, ad esempio, si credeva che i sogni fossero messaggi degli Dei, mentre nelle culture dei nativi americani i sogni erano visti come un modo per entrare in contatto con il mondo degli spiriti. Ancora oggi molte persone credono che i sogni abbiano un significato spirituale o mistico. In conclusione, i sogni sono un aspetto affascinante e misterioso dell'esperienza umana che è stato studiato e discusso per secoli. Sebbene non ne comprendiamo ancora oggi in modo univoco lo scopo o il significato, essi continuano ad affascinare la nostra immaginazione e a fornirci preziose informazioni sulla nostra mente subconscia. Per questo motivo, il sogno in psicoterapia può essere analizzato da terapeuti competenti per meglio comprendere alcuni aspetti profondi dell’individuo.

Il sogno nella storia della psicoanalisi

Per capire a cosa servono i sogni in psicoterapia è importante comprendere quando è nato lo studio dei sogni e come stati analizzati all’inizio dai principali studiosi dei sogni. Infatti è importante dire che lo studio dei sogni in psicoterapia è stato un aspetto significativo di una particolare branca, nonché una delle prime, ovvero la psicoanalisi. La psicoanalisi si dedicò allo studio del mondo del sogno fin dai suoi inizi, utilizzandolo come un elemento fondamentale del metodo di terapia e quindi del processo di guarigione. Secondo questo approccio terapeutico, i sogni sono una finestra sulla mente inconscia, che rivela desideri e paure represse. Due figure fondamentali nel campo della psicoanalisi, Sigmund Freud e Carl Jung, anch’essi avevano opinioni diverse sul significato e sull’interpretazione dei sogni. Secondo Sigmund Freud, i sogni sono un mezzo per realizzare i desideri, permettendo agli individui di esprimere le loro inconsce aspirazioni che generalmente vengono represse durante la vita di veglia. Freud sviluppò la tecnica delle libere associazioni, in cui i pazienti venivano incoraggiati a parlare liberamente di qualsiasi cosa venisse loro in mente senza censurare o modificare i loro pensieri. Questo permetteva l'esplorazione della mente inconscia e l'identificazione di desideri e paure represse, talvolta anche grazie ai sogni. Carl Jung, invece, riteneva che i sogni fossero un modo per accedere all'inconscio collettivo, un serbatoio condiviso di esperienza e conoscenza umana. Per lui i sogni sono una fonte di saggezza e di intuizione, che contiene archetipi e simboli universali stratificati attraverso le culture e i periodi storici. Jung considerava i sogni come uno strumento di crescita personale e di scoperta di sé, che permetteva agli individui di entrare in contatto con il loro Io più profondo e di scoprire aspetti nascosti della psiche. Nonostante le loro diverse opinioni sui sogni, sia Freud che Jung riconobbero l'importanza dell'analisi dei sogni nella psicoterapia. La terapia psicoanalitica prevedeva spesso l'esplorazione dei sogni e del loro significato, con l'obiettivo di portare alla consapevolezza desideri e paure repressi. In conclusione, i sogni hanno svolto un ruolo significativo nella psicoanalisi fin dai suoi esordi. Lo studio dei sogni in psicoanalisi ha fornito approfondimenti sulla mente inconscia e ha permesso agli individui di esplorare desideri e paure più profonde. Lo studio dei sogni negli ultimi decenni continua nelle pratiche degli psicoterapeuti che, avendo una specifica formazione clinica, anch’essi lavorano molto sui sogni con assai interessanti risultati. Per questo diventa importante capire a cosa servono i sogni in psicoterapia.

A cosa servono i sogni in psicoterapia

Da tempo i sogni sono riconosciuti come una preziosa fonte di informazioni in psicoterapia: offrono una finestra sulla mente inconscia e possono rivelare emozioni, conflitti e desideri sottostanti. Lavorare con i sogni in psicoterapia può essere un potente strumento di guarigione, in quanto permette ai clienti/pazienti di accedere ed esplorare parti di sé che possono essere nascoste o represse. Quando si lavora con i sogni in psicoterapia, è importante creare uno spazio sicuro e non giudicante in cui i clienti possano condividere i loro sogni sentendo il valore dei doni del loro stesso inconscio. Il terapeuta deve incoraggiare il cliente a descrivere il sogno nel modo più dettagliato possibile, includendo qualsiasi emozione o sensazione presente. Il terapeuta può poi aiutare il cliente ad esplorare il significato del sogno, utilizzando tecniche come la libera associazione o l'immaginazione attiva. In tale contesto è importante che il paziente sia consapevole del valore del messaggio onirico prima incomprensibile e poi svelato dal lavoro psicoterapico. Il clinico ha la funzione di co-creare il significato del sogno insieme al suo paziente. È importante ricordare che i sogni sono altamente personali e soggettivi, quindi il terapeuta eviterà di fare ipotesi o di interpretare il sogno per il cliente. Invece, guiderà il cliente nell'esplorazione dei simboli e dei temi presenti nel sogno per aiutarlo a collegarli alle sue esperienze nella vita di veglia. L’utilità dei sogni in psicoterapia può essere molto significativa per i clienti che lottano contro l'ansia, la depressione, i traumi o i problemi relazionali. I sogni possono fornire spunti di riflessione su conflitti irrisolti o emozioni represse, consentendo ai clienti di elaborare questi problemi in un ambiente sicuro e di supporto. In generale, incorporare il lavoro sui sogni nella psicoterapia quand’anche non strettamente psicoanalitica può essere uno strumento prezioso per aiutare i clienti a esplorare il loro mondo interiore e a lavorare per una maggiore autoconsapevolezza e evoluzione sia spirituale che operativa. Creando uno spazio sicuro e di supporto per l'esplorazione dei sogni in psicoterapia da parte dei clienti, i terapeuti possono contribuire a sbloccare potenti intuizioni e a facilitare una crescita e un cambiamento significativi.

Speriamo con questo articolo di avere chiarito meglio a cosa servono i sogni in psicoterapia. Se volete leggere un altro articolo sul tema e l‘approccio di una terapeuta leggete l’articolo Sogno quindi esisto. Se vuoi un consulto o hai bisogno di supporto di uno psicoterapeuta a Bergamo, non esitare a contattarci su Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

 

Gaia Villa & Pasqua Teora

Corso di metodo di studio creativo - Apprendere è esprimere il proprio talento

Corso di metodo di studio creativo - Apprendere è esprimere il proprio talento

Corso di metodo di studio creativo - Apprendere è esprimere il proprio talento

Un buon metodo di studio è fondamentale in un percorso scolastico, in particolar modo nei momenti più sensibili, come i passaggi da un grado (scolastico) all’altro.

Lo studio trova nelle discipline scolastiche una forma epistemologica strutturata affinché alunni e studenti possano conoscere e manipolare la realtà. Possano apprendere.

Ma cosa significa realmente “apprendere” ? Non significa certamente ripetere a memoria nozioni stampate su un qualsivoglia libro...

Apprendere è bensì una pratica che dura tutta la vita. Un’azione del corpo e della mente che porta nuove comprensioni, nuove abilità, nuovi comportamenti, nuove capacità, nuove competenze sempre aggiornate e responsive rispetto una società in continuo cambiamento.

In qualità di pedagogista, ho strutturato e creato un corso di metodo di studio creativo.[1] Il metodo di studio creativo prevede un punto di partenza imprescindibile: i bambini/ragazzi. Sono e saranno loro i protagonisti del percorso di apprendimento creativo; con le proprie motivazioni, i propri stili cognitivi e i propri stili di apprendimento. Il corso prevede di adattare ogni tappa del percorso ai bisogni di ciascuno dei ragazzi. 

Inoltre, il gruppo di lavoro prevede 10 incontri (replicabili).

Nel gruppo si lavorerà in principio sulle emozioni, utilizzando i linguaggi interdisciplinari performativi, teatrali e musicali. Col corso di metodo di studio creativo, ogni partecipante verrà messo nella condizione di imparare a gestire con creatività le proprie emozioni, fino ad identificare le proprie abilità. Il talento è una componente della personalità che tutti possiedono: latente, celato, dichiarato o in via di sviluppo. L’intelligenza emotiva è alla base dell’intero sistema di conoscenza ed a seguire quindi di apprendimento. 

Durante il percorso scolastico, le prove e verifiche sono spesso di fatto atti performativi. Richiedono energia, coraggio, slancio emotivo; caratteristiche non sempre presenti nell’età dello sviluppo. Quante volte abbiamo ascoltato bambini e ragazzi dichiarare di studiare, a volte anche molte ore, senza riuscire però ad ottenere i risultati sperati a scuola? Le prove scritte e orali, la platea dei propri compagni di classe e dei propri docenti diventano un banco di prova ben più complesso ed una minaccia interpersonale.

Durante il corso di metodo di studio creativo questi bambini e ragazzi potranno conquistare una buona e solida consapevolezza dei propri punti di forza, degli aspetti emotivi e cognitivi. Potranno riconoscere i propri talenti, affrontando così ogni prova. La curiosità farà suscitare l’interesse per lo studio, lo renderà piacevole, stimolerà il desiderio di imparare ad imparare; per raggiungere un obiettivo non più meramente scolastico bensì spendibile in altri spazi di vita, personali e sociali. Si esploreranno gli ambiti della memoria, dell’attenzione, della pianificazione, delle funzioni esecutive. Si incrementeranno di conseguenza le capacità di autovalutazione, attraverso un approccio meta-cognitivo.

Grazie al corso di metodo di studio creativo il viaggio creativo nell’universo dell’apprendimento diventerà il veicolo per avviare la costruzione di un più ampio progetto di vita, di crescita e di scoperta. In una visione trasversale e complementare delle discipline. Verso un apprendimento permanente. Un approccio multisensoriale.

Il corso di metodo di studio creativo è pensato per un gruppo di massimo 10 componenti, possibilmente in età simile (differenza di max 2/3 anni), affinché si possa essere più funzionali e maggiormente produttivi.

La cooperazione e la collaborazione permetteranno ad ognuno di esprimersi. Lo scambio cognitivo, la scrittura collaborativa, la didattica dell’errore, il problem-solving; saranno solo alcune delle tecniche proposte. Cercheremo di stimolare il pensiero divergente, utile per strutturare la propria personalità, soprattutto in età pre e adolescenziale, per non correre il rischio di omologarsi alle mode del momento ed al gruppo dei pari.

Accanto al corso di metodo di studio creativo si possono immaginare ulteriori pacchetti di metodo di studio collettivo, incontri di restituzione alle famiglie sotto forma di consulenza pedagogica, di tutoraggio individuale e specializzato, di orientamento scolastico.

Sono previste, qualora emergano particolari difficoltà, valutazioni diagnostiche e screening per eventuali e sospetti disturbi dell’apprendimento e bisogni educativi speciali.

Per ulteriori informazioni corso di metodo di studio creativo a Bergamo o per avviare un corso presso la Vostra realtà scrivere a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

Marie Anna Febbraio

 

[1]    Metodo studiato e sviluppato da personalità illustri come Edward de Bono, Howard Gardner, Tony Buzan, Maria Montessori, Jean Piaget, Seymour Papert, Roger von Oech, Ken Robinson...

 

Come superare il lutto

Come superare il lutto

Con questo articolo, il Centro psicologia e Cambiamento di Bergamo, inaugura ed avvia una collaborazione di ricerca fra la dott.ssa Pasqua Teora e la psicologa Gaia Villa.

Affinché lo studio possa incontrare la visione, e viceversa, ricordare sempre che la conoscenza prevede l'analisi quanto “il creativo”.

Come superare il lutto

Il lutto è uno stato psicologico e fisico che segue la perdita di una persona significativa che ha fatto parte della propria vita. La perdita di una persona a cui si è voluto bene può essere difficile da superare e il lutto assume così caratteristiche patologiche. Poiché l’esperienza della perdita è vissuta diversamente da persona a persona, diventa complicato stabilire quali siano le reazioni che possono insorgere ed individuare i tempi di elaborazione della perdita. Potrebbero interessare molti mesi come anni.

In questo articolo approfondiremo meglio cos’è, come affrontare e come superare il lutto.

In cosa consiste l'esperienza del lutto?

Affrontare la perdita di qualcuno che ami è una delle più grandi sfide della vita e spesso il dolore è travolgente tanto da far sperimentare l'intera gamma delle emozioni: dallo shock all’incredulità, dal senso di colpa alla rabbia, dalla più profonda tristezza al senso di impotenza. Il lutto può inoltre intaccare la salute fisica, causando problemi di sonno, alimentari o un senso di stanchezza cronica.

Le reazioni di fronte ad un lutto sono diverse e possono essere vissute in modi completamente differenti da persona a persona.

Un lutto infatti può portare a sperimentare :

Emozioni come tristezza, rabbia, senso di colpa, ansia. La tristezza si può esprimere in alcuni attraverso il pianto, in altri con la chiusura in se stessi. Può essere molto forte il senso di colpa. Determinato dll'impossibilità di prevenire od immaginare la perdita. Le persone in lutto possono altresì provare la solitudine, lo shock (in caso di perdita improvvisa), il sollievo (se la persona amata stava soffrendo da tempo) finanche non provare nessuna emozione. Come a trovarsi coinvolti in uno stato di congelamento. Svuotamento.

Sensazioni legate al dolore fisico; come male al torace, difficoltà nell'atto respiratorio, debolezza, mal di stomaco, mal di testa ed in alcuni casi la febbre (difatti alcuni componenti rilasciati dall’organismo quando si è particolarmente tristi possono compromettere il funzionamento del sistema immunitario).

Comportamenti o problemi di carattere più generale; come difficoltà legate al sonno (problemi ad addormentarsi, risvegli, insonnia, incubi, stanchezza), legate all’alimentazione (spesso le persone in lutto non mangiano per periodi lunghi), distrazione/fatica a concentrarsi in diverse attività, tendenza ad isolarsi e a rinchiudersi in se stessi, o al contrario, come meccanismo di difesa, iperattività e ricerca di impiegare ogni minuto del proprio tempo.

Le fasi di elaborazione del lutto

Nel 1969 una psichiatra svizzera, Elizabeth Kübler Ross definì il lutto come un processo suddivisibile in 5 fasi principali, chiamate comunemente “fasi di elaborazione del lutto”: queste rappresentano un cammino step by step che ogni persona si trova ad affrontare dopo la perdita di una persona cara per superare un lutto. L’intensità e la durata di ognuna delle fasi è diversa da persona a persona e non sempre il processo si presenta così lineare e definito. Sebbene queste fasi tendano a seguire l'iter qui descritto, può verificarsi si invertano o sovrappongano. Addirittura l'intervallo e la successione delle le fasi, può essere incostante. Il percorso come dicevamo è appunto singolo e differente da persona a persona.

1) Negazione: Quando affrontiamo una perdita che ci causa molto dolore, in primo luogo la nostra mente prova a difenderci negando la sofferenza che l’ha generata; avviene quindi che non riusciamo ad accettare quanto accaduto a causa dello stato di shock dovuto alla perdita.

2) Rabbia: Quando cominciamo a renderci conto di quello che è successo, spesso iniziamo a provare un’intensa e pervasiva rabbia con noi stessi (perché sentiamo di non aver fatto abbastanza); con la persona che ci ha lasciato nonché con chi riteniamo colpevole della perdita subita. Ci chiediamo cosa abbiamo fatto di male per meritarci quello che è capitato. La frustrazione è un altro sentimento molto comune in questa fase. Tuttavia, in qualche modo la fase della rabbia ci permette di uscire dallo stato di apatia generato dalla prima fase.

3) Patteggiamento o contrattazione: ad un certo punto dopo il lutto, iniziamo a sentire il bisogno di mediare con la nostra sofferenza, per sopravvivere. In questo momento cerchiamo di riprendere il controllo della nostra vita, tornando a una sorta di normalità o provando a ricostruirne una. Questa fase rappresenta il primo segnale di ripresa. Alla persona in lutto può sembrare il dolore sia finito. Tuttavia, il dolore è ancora forte (anche se a tratti nascosto a noi stessi e al mondo esterno) e il lutto non è realmente stato superato: in questa fase potrebbero infatti esserci numerosi “alti e bassi”.

4) Depressione: i continui alti e bassi della fase precedente, ad un certo punto ci fanno cadere in uno stato precario di continua tristezza. Iniziamo quindi ad essere più consapevoli della nostra perdita. Il dolore potrebbe manifestarsi, a questo punto, nelle sue accezioni fisiche precedentemente menzionate.

5) Accettazione: lentamente si arriva alla fine del processo di elaborazione del lutto e all’ultima fase, quella dell’accettazione della perdita. È grazie a questa fase che le persone trovano in se stesse e negli altri la forza di reagire e provare a riprendere in mano la propria vita, il proprio lavoro, le proprie relazioni. Aver raggiunto la fase di accettazione tuttavia non significa smettere di pensare o soffrire per la persona cara, ma provare piuttosto a dare un senso a quella perdita, cercando di voltare pagina e costruire nuovi interessi per riempire il vuoto lasciato dalla persona cara. Giungere e concludere la fase di accettazione è l’unico modo per superare il lutto.

Quanto dura tutto questo processo? Dipende. Non esiste un tempo “giusto” per superare un lutto, in quanto diversi fattori (legati ad età, maturazione, personalità, forza del legame, valori, rete familiare e amicale) possono influenzare questo processo di elaborazione.

È necessario ricordare che velocizzare il processo di elaborazione del lutto non è raccomandabile: più ci si costringe a stare meglio velocemente, più si evita la sofferenza, più questa torna a farsi sentire. Riuscendo invece a viversi il processo con il tempo necessario, le emozioni difficili diminuiranno così da poter tornare pian piano alla propria vita quotidiana. È importante ricordare che con il tempo ci si sentirà meglio; ciò non significa che l’accaduto o la persona cara verranno dimenticate o che non avranno più un impatto su di sé, ma che è possibile superare un lutto ritrovando il piacere della vita e la gratitudine per il profondo legame vissuto insieme.

Quando il tempo di elaborazione del lutto diventa troppo e può trasformarsi in patologia?

Quando il dolore della perdita è talmente costante ed intenso da impedire alla persona di riprendere la propria vita, questa potrebbe soffrire di una condizione nota come lutto complicato o patologico. Un numero crescente di ricerche ha evidenziato come, in circa il 7-11% di persone, l’elaborazione del lutto non evolva verso la risoluzione, che solitamente avviene circa nell’arco temporale di 6-12 mesi dalla perdita, ma perduri in maniera lineare con le stesse manifestazioni della fase acuta (i primi mesi dopo la morte della persona cara) amplificati e invalidanti anche per anni. È come rimanere bloccati in uno stato di lutto per un periodo molto lungo, cosa che può portare ad uno stato depressivo cronico. Se ti ritrovi a vivere i sintomi del lutto complicato chiedi aiuto ad uno psicologo o ad uno psicoterapeuta. Se non trattata, questa forma non permetterà di superare un lutto ma anzi può sfociare in una depressione maggiore, causare problemi di salute seri o persino portare al suicidio.

Come superare il lutto?

L’unico modo per superare un lutto è accettare il periodo e il dolore che si sta vivendo e provare a reagire. Il tempo è una variabile fondamentale, perché il dolore non scomparirà da un momento all’altro, ma si affievolirà lentamente nel corso della vita. Esprimere le proprie emozioni e condividerle può essere utile, così come non giudicarsi per quello che si prova o per come si sta. Un altro aiuto importante ci è dato dalle persone che ci sono vicine, che possono supportarci ed aiutarci ad affrontare il difficile periodo che il lutto porta. Un ulteriore possibilità per convivere ed accettare il vuoto lasciato, è provare a tenere vivo il ricordo. In questo momento delicato della propria vita inoltre, diventa importante prendersi cura della propria salute (con alimentazione e attività) e non cercare rimedi per affievolire il dolore. Vivere il dolore durante le fasi imprescindibili e necessarie garantisce al dolore di non ripresentarsi in una forma patologica.

Se senti di non farcela a superare il lutto, rivolgiti ad un professionista della salute mentale. La psicoterapia può essere un valido strumento in un periodo come quello della perdita di una persona cara. Con l’aiuto del terapeuta ci si può permettere di vivere tutte le intense emozioni che seguono l’evento, ricostruire nuovi schemi e abitudini e ritornare a vivere riscoprendo una nuova relazione con chi non c’è più.

Se ti ritrovi nei sintomi del lutto complicato, la cosa migliore che puoi fare è cercare il supporto di un professionista competente che possa aiutarti a riprendere in mano la tua vita.

Speriamo con questo articolo di avervi chiarito meglio come affrontare, elaborare e superare un lutto. Se volete leggere un altro articolo sul tema e l‘approccio di una terapeuta leggete l’articolo Annotazioni sul lutto. Se avete bisogno di una consulenza per un lutto o un lutto complicato, non esitate a contattarci su Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

 

Gaia Villa & Pasqua Teora

OMAGGIO A GIANFRANCO CECCHIN

OMAGGIO A GIANFRANCO CECCHIN

Il cielo in una stanza: una esperienza di supervisione paritaria tra terapeute sistemiche

Pasqua Teora, Maria E.Castiglioni, Donatella Carnaccini, Pamela Meda

Siamo quattro psicologhe psicoterapeute senior, provenienti da esperienze formative diverse e aventi in comune l'approccio terapeutico sistemico e l'aver fatto parte per anni dell'ultimo gruppo di supervisione di Gianfranco Cecchin al Centro di Terapia Familiare di via Leopardi di Milano, conclusosi con la sua morte il 3 febbraio 2002.

Indirizzo

Via Eugenio Montale n° 23
24126 - BERGAMO

Contatti

035.31.95.45
346 36.82.340
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