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Donne al Lavoro: sfide, progresso e politiche di inclusione aziendale

Quando la donna è entrata nel mondo del lavoro?

Durante la Seconda guerra mondiale, quando gli uomini erano al fronte, molte donne sono entrate nel mondo del lavoroun po’ di forza, per sostituirli. Questo ha permesso loro di esprimere delle competenze che neanche pensavano di avere, e questo è stato il loro dono alla patria. Quando sono tornati gli uomini dalla guerra, molte donne sono tornate a casa, nel ruolo di mogli e madri, anche perché questa rinnovata “fame di famiglia” aveva all’epoca il senso di bilanciare le migliaia di morti dovute alla Guerra. Ci sono voluti molti anni perché le donne rientrassero nel mondo del lavoro, e ciò è storicamente avvenuto con il movimento femminista, nato dal desiderio di produrre reddito e autonomia, grazie anche allo studio e al desiderio di emancipazione. Tra questa due epoche vicine ma molto differenti, c’erano le madri di queste donne, che hanno aiutato ad allevare i bambini di queste femministe degli anni 70. Oggi e da una ventina d’anni circa, è sempre meno disponibile la figura della madre-nonna che aiuta le donne che lavorano. Allora o c’è l'alleanza, oppure ad oggi, le donne che lavorano e si appassionano al loro lavoro, se non hanno alle spalle un tessuto sociale o addirittura un’azienda che svolgano il ruolo che le nonne non possono più svolgere, le giovani donne rimangono in una impasse a danno dell’attività e delle singole realtà, nonché a danno dell’intera collettività: donne qualificate non possono lavorare o non possono avere figli, e questo comunque si ripercuote sulla loro vita e sull’intero contesto di appartenenza.

Con questo articolo vogliamo esortare la sensibilità del tessuto sociale e delle aziende sia familiari sia multinazionali, a tener conto di questa cosa.

Che difficoltà vivono le donne nel mondo del lavoro?

Nel tempo e nel corso degli anni ci son state svolte epocali nel mondo del lavoro al femminile, ma il lavoro delle donne è rimasto sempre molto faticoso, dai suoi esordi fino ad oggi.

In un servizio molto recente del TG2 Dossier intitolato “la fatica delle donne”, molte donne riferiscono grandi difficoltà a conciliare la vita lavorativa e quella familiare, soprattutto quando si parla di maternità. Molte delle loro storie parlano di fatica con i contratti, nelle assunzioni, nella difficoltà di poter lavorare part-time o in smart-working dopo la nascita dei figli. Questo chiaramente si ripercuote sulla loro vita professionale, ma non solo. Anche il contesto familiare diventa influenzato, e i “ruoli culturali” preimpostati e ormai dati per scontati non permettono alle donne di vivere serenamente, con il timore di trascurare sempre o l’una o l’altra cosa, o il lavoro o la famiglia. Tutte le donne nell’intervista ribadiscono l’importanza di assecondare i propri sogni e le proprie passioni, ma pongono sempre un monito: è veramente difficile. Le donne nel mondo del lavoro devono essere determinate, avere pazienza, spirito di adattamento.

Come vengono trattate le donne nel mondo del lavoro?

A proposito di donne e della loro fatica, c’è una significativa storia del passato che può farci riflettere anche sul presente. La storia di Carla Slaviero, sconosciuta ai più se non addirittura rinnegata. Maestra di Rozzo, comune di montagna, la Slaviero mise insieme un’amministrazione di sole donne in un momento buio del loro paese. Questo non le è stato perdonato, e nonostante siano passati 60 anni per la gente di lì si parla di “periodo buio” e si cerca di non ricordare, anche per chi l’ha vissuto. Chi coltiva la memoria di quella donna generosa e intraprendente è la nipote “nessuno aveva tramato perché le donne amministrassero Rozzo, aveva davvero passione per la politica”. Nel ’64 nessuno voleva candidarsi perché il paese ormai non era più finanziariamente “salvabile”: lei fu l’unica che lo fece. Le interviste dell’epoca agli uomini parlano di “una pillola amara” oppure commentano con “noi ci sentiamo umiliati, le donne hanno iniziato a darsi delle arie”. Toccò alle donne in questo periodo, sotto la direzione di Carla Slaviero, mettere delle tasse nuove, pur temendo di diventare impopolari “le donne non si fermano davanti a niente, e i risultati dopo anni sono stati ottimi”.

Insomma, in quel momento storico nel paese di Rozzo si ripeté la storia della guerra: tutti gli uomini avevano ritenuto ingovernabile la situazione. Così come nel tempo della guerra le donne occuparono TUTTE le aziende, anche qui in questo comune una donna si è fatto carico di riorganizzare un paese che “aveva perso la guerra”. Sorge a questo punto spontanea una domanda: dobbiamo sempre e per forza aspettare un fallimento o una catastrofe per aspettare che le donne abbiano una voce e un ruolo più incisivi?

Tutt’ora non è affatto scontata la presenza delle donne in politica. C’è ancora un distacco di ruoli, un vedere la figura maschile come più capace.

Per la prima volta nella storia della Repubblica abbiamo ora un premier donna (Giorgia Meloni), ma di fatto le ministre sono diminuite rispetto alle precedenti legislature è donna solo il 33% dei parlamentari, ma questa quota è ora per la prima vota in calo dagli anni dal ’90 ad oggi.

Uno studio del Gran Sasso Science Institute ci dice che è importante la rappresentanza femminile per la violenza di genere: lo studio dice che più sono presenti donne nei consigli comunali (dove si rivede la geografia degli stereotipi dei pregiudizi della comunità) più cala la violenza di genere e di femminicidi. Questa diminuzione si ha nei paesi in cui sono state introdotte le quote rosa, soprattutto appena vengono inserite le quote rosa. Perché questo dato è significativo, e ci interessa e riguarda anche nell’ambito di quest’articolo? Perché secondo l’ANSA, quasi metà delle donne vittime di violenza è economicamente dipendente dal partner. Questo ci fa doppiamente capire quanto, tenere le donne ai margini, stia diventando un problema per l’intera società.

Qual è la condizione delle donne nel mondo del lavoro in Italia?

In Italia quando si parla di lavoro femminile bisogna parlare di un limbo sociale, dove sono più di 44mila le donne con figli tra 0-3 anni che hanno lasciato il lavoro nel 2022. La motivazione nel 63% era proprio la difficoltà di conciliare lavoro e cura dei figli.

Ciò ha un impatto chiaramente sulla vita lavorativa, ma anche sull’intera comunità, perché ci sono talenti che non vengono sfruttati. Inoltre è fondamentale sottolineare che, col calo demografico, queste donne che non sono messe nelle condizioni di poter lavorare creano problemi di sostenibilità al sistema pensionistico.

Secondo le proiezioni la crisi demografica porterà nel 2040 una diminuzione del 10% della forza lavoro: è importante che le donne non vengano escluse dal mercato del lavoro. E invece, secondo le ricerche su vari paesi, in Italia i dati sono in drastico peggioramento.

Quali sono i principali ostacoli alla parità di genere nel mercato del lavoro?

Uno degli indicatori più evidenti di questo squilibrio, oltre al divario tra i tassi di occupazione tra i più alti in Europa, c’è il gender-pay-gap: il salario medio di un uomo nel settore privato nel 2022 è di circa 24mila euro, quello di una donna è di 17mila: c’è il 30% di gap. Ciò perché le donne, per conciliare la vita lavorativa con quella familiare tendono a cercare lavori in settori che pagano retribuzioni più basse, e inoltre tendono a scegliere lavori part-time. Se paragoniamo invece donne e uomini con settori simili e stessi contratti, il gap cala al 10% e nel pubblico è attorno al 6%.

In Italia quindi purtroppo si parla ancora di lavoratrici deboli, che anche con contratto indeterminato hanno difficoltà, soprattutto alla nascita dei figli. Le maggiori tutele si hanno entro un anno, fino ai 3 c’è tutala per esempio sulla richiesta dei part-time. Dopo i 3 anni nulla. Il problema è più diffuso nel privato.

Come risolvere la disparità di genere nel lavoro?

Un solido e valido aiuto nel mondo del lavoro femminile può essere dato dalle consigliere di parità, che sono a tutti gli effetti dei pubblici ufficiali. Queste cercano prima di tutto il dialogo con i datori di lavoro, ma possono se necessario promuovere azioni legali di fronte al TAR o al giudice del lavoro, contando su più di 400 avvocati esperti.

Sono però poco conosciute e hanno un problema di visibilità. Inoltre, se la consigliera non ha i fondi per supportare le donne poi diventa molto più complicato intervenire.

Mancano quindi i servizi di supporto, ma è anche necessaria una svolta strutturale, culturale e sociale, perché la cura dei figli continua a essere considerata “questione di donne”.

Ad esempio, anni fa c’era solo un giorno per permesso di paternità, ora siamo arrivati “come conquista”, grazie ad una direttiva europea, a 10 giorni di permesso di paternità. Ma nel Nord Europa siamo a 6 mesi, e si parla di cura condivisa: 6 mesi quindi che, entrambi i genitori, possono ripartirsi a loro scelta tra madre e padre. Ora in Italia anche dei padri si rivolgono alle consigliere di parità, perché accade che i datori di lavoro non gli danno neanche quei 10 giorni di permesso obbligatori per legge. È chiaro quindi che c’è un aspetto anche culturale da affrontare con le organizzazioni di lavoro: quei padri hanno diritto anche loro a vivere i propri figli.

Se è vero che i padri ora sono più inclini alla cura, c’è ancora un forte squilibrio. Solo il 20-25% delle richieste di congedi parentali sono da parte dei padri, e il congedo di paternità che invece è obbligatorio, comunque viene utilizzato da solo circa il 60% degli uomini. C’è molto da fare ancora per la distruzione dei compiti parentali.

Impatto delle politiche di inclusione femminile sul mondo del lavoro aziendale

Come viene raccontato nel sopracitato servizio di TG2 Dossier, fortunatamente, nel tempo anche in Italia molte aziende e singole realtà, come ELI LILLY, farmaceutica (ma anche altre come Lamborghini, Enel, Generali, BNL) hanno firmato il Codice di autoregolazione delle imprese in favore della maternità. Le risorse umane di Eli Lilly raccontano: “Qui quasi il 40% delle professioni è donna, come il 28% dei dirigenti. Abbiamo lavorato su permessi e congedi che vanno ben oltre la legge. Inoltre ci sono flessibilità orarie, e soprattutto le donne che lavorano negli uffici, lavorano per obiettivi: non fanno quindi le classiche 8 ore canoniche al giorno ma hanno dei compiti settimanali/mensili da svolgere, gestendo loro i tempi e i modi. Oltre a smart-working poi, c’è possibilità di sostegno psicologico per i neo-genitori, e tutoraggio da parte di un coach per monitorare il rientro al lavoro dopo la maternità. Non c’è un nido aziendale, ma ci sono convenzioni con gli asili nido su tutto il territorio nazionale. Inoltre, le retribuzioni sono paritarie tra uomini e donne con le stesse posizioni e mansioni.”

Tuttavia rimane da considerare che, a livello sociale è comunque difficile, perché come dice una lavoratrice intervistata “tutti si aspettano che tu sia una super mamma e una super lavoratrice. Il senso di colpa è legato al giudizio: nessuno chiede a un uomo se non si sente in colpa a viaggiare per lavoro, a una mamma viene chiesto sempre”.

Serve un cambio di mentalità per sostenere la parità di genere, sono necessari servizi adeguati, tutt’ora non è affatto scontato però che avvenga. Cosa possiamo fare noi come cittadini? Iniziare a renderci conto di come funzionano le cose, per promuovere una diversa ideologia e un diverso modo di “fare lavoro” e un diverso modo di “fare famiglia”. In primis per noi donne, per la nostra crescita per la nostra identità. Ma anche soprattutto per il bene dell’intera collettività.

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